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ARTIGIANATO E VINO: UN BRINDISI INSIEME AL LABORATORIO ZANCHETTIN

Abbiamo una grande passione per il risultato. L'esperienza è il dato distintivo, perchè il prodotto si capisce solo quando è finito

Un pavimento può avere una dimensione artistica e persino una storia familiare di chi l’ha posato. È questa in estrema sintesi l’emozione di trovarsi nel laboratorio Zanchettin, un luogo dove l’artigianalità delle terrazze alla veneziana parla di mani imbiancate dalla calce, schiene piegate e occhi capaci di prevedere spazi e colori dove ancora non c’è nulla. Un’esperienza che qui, come in mille altre aziende del trevigiano (siamo a Revine Lago), viene tramandata di padre in figlio: «L’attività è iniziata dalla passione di mio padre. Attualmente in azienda ci sono mio fratello Christian e mio figlio Alex. Insomma, ci siamo rimasti incastrati tutti» scherza Adriano.

 Che cos’è un terrazzo alla veneziana?

Una lavorazione storica, prettamente veneta. Si stendono sassi di diverse dimensioni, poi si aggregano con un legante, si molano, si lucidano e diventano una specie di mosaico. Ci sono reperti che risalgono alla civiltà cartaginese, ma la grande evoluzione si è avuta con la Repubblica Veneziana. Di fatto, è una lavorazione che sfruttava quello che offriva il territorio. Infatti, i materiali variano di città in città. Dai fiumi Piave e Tagliamento venivano pescati i sassi necessari alla produzione della calce. Nella prima fase di cottura il sasso si sbianca, poi si scioglie e diventa calce. Lo scarto, che ha subito lo sbiancamento ma non è ancora diventato calce, veniva usato per il bianco dei pavimenti. Poi c’è il sasso verde del Piave, il giallo Conegliano. A Venezia si sfruttava il via vai del porto, perciò lì si trova il giallo Istria, il bianco di Carrara. Quindi, c’è il rosso di Asiago, quello di Verona. Inizialmente il legante era la calce, poi si è passati al cemento all’inizio del Novecento.

Di fatto, una lunga operazione con risultati mai uguali a se stessi.

La calce aveva presa più lenta e permetteva decori maggiori, ma anche oggi ogni pavimento è unico, perché è costruito in opera. Si parte con un’idea, poi si arriva in cantiere e l’artigiano è condizionato dall’ambiente.

C’è una forte componente artistica, quindi.

Da un lato, una volta capiti i sistemi e le fasi, per me è un lavoro quasi automatico, però sì, ci sono situazioni di sfida. Allora ecco emergere il lato artistico: quando ti portano un disegno, bisogna capire se abbia senso una volta posato. Quindi tocca all’artigiano interpretarlo e magari farlo diventare anche più bello.

La lavorazione è intrinsecamente legata a questo territorio. Quanto valore ha essere nato qui?

Questa è la zona della terrazza alla veneziana e quindi ci si può confrontare tra esperti. Raffrontarsi è fondamentale: mai credersi i migliori se si vuole crescere.

La produzione, oltre alla perizia e al talento, richiede grande sacrificio.

Di sicuro. È un lavoro faticoso che oltretutto è difficilmente delegabile.

Qual è la dote principale di un artigiano specializzato in terrazze alla veneziana?

Avere la schiena buona. E poi, come tutti gli artigiani, la passione per il risultato. L’esperienza è il dato distintivo, perché il prodotto si capisce solo quando è finito. Il campione è una cosa, ma quando lo riporti in grande l’effetto è un altro. E in questa lavorazione l’effetto è tutto, il dettaglio conta tantissimo. Prima il cliente non sempre riesce a capire la differenza dal calcestruzzo levigato, che è un prodotto seriale. Perciò va motivato e la qualità va raccontata.

Si parte da un disegno, da un’ispirazione o prende corpo a mano a mano che lo si produce?

Dipende dal cantiere e dalla gestione. I clienti normali vengono qua e li consigliamo noi. A differenza di cinquant’anni fa, dove gli ambienti avevano tutti una destinazione d’uso e c’era la sala distinta dalla camera e dalla cucina e ognuna aveva il suo tipo di pavimento, oggi le stanze sono tutte più aperte. Perciò consiglio di non vincolarle con disegni che impedirebbero poi di adibirle ad altro.

Succede di stravolgere l’idea iniziale del cliente?

Certo, e non sempre a mio vantaggio, però se lui arriva col disegno di un gran decoro e il contesto non è favorevole, io lo faccio ragionare e punto su qualcosa di più semplice. Ma attenzione, non meno bello, anzi talvolta mi stupisco anch’io, perché nelle cose semplici l’artigiano riesce ad apprezzare il suo lavoro. La soddisfazione del cliente è una delle cose più importanti perché viviamo di passaparola e scatta solo se hai interpretato al meglio i suoi desideri. Anche quelli che non sapeva di avere.

Che c’è di veneto nel vostro lavoro? E cosa di universalmente apprezzato?

Le materie prime sono fondamentali, ma ormai si trovano da tutte le parti d’Italia. La differenza vera sta nella cultura delle lavorazioni che è radicata, non improvvisata.

Su un’elegante terrazza alla veneziana stappiamo una bottiglia delle migliori bollicine. A che cosa brindiamo?

Voglio brindare alla voglia di fare rete per comunicare che qui abbiamo tutto e il vino è solo la punta di diamante. Brindo a tutte le eccellenze che rendono unico questo territorio.

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