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ARTE E VINO: BRINDIAMO ALLA VITA INSIEME A VALENTINO MORO – FABBRO

Eleganza è togliere, è semplicità, leggerezza che deriva dalle forme e dalle proporzioni

«Ormai non ci accorgiamo neanche più di quanta bellezza si perda guardando il telefonino tutto il giorno», osserva Valentino Moro nel suo laboratorio di Miane che trabocca di incanto.

Viti che si inerpicano, tralci che si avvitano, foglie leggere che danno l’impressione di potersi librare nell’aria al primo refolo di vento. Invece non cadranno mai perché sono di ferro.

Moro è un maestro riconosciuto ben oltre i confini: è sua una delle cancellate più imponenti del mondo, a Malta. Ma non è andato lontano per trovare ispirazione: la sua terra, quelle colline lavorate nei secoli dall’uomo, guidano le sue mani. «Rivedo i gesti di mio padre, viticoltore. Da ragazzino mi chiedevo perché continuasse a fare quel lavoro tanto duro, poi ho avuto la risposta: la tenacia, la sofferenza, il sacrificio, la costanza appagano»

Scultore, fabbro, artigiano, artista. Chi è davvero Valentino Moro?

Io non mi definisco e lascio che le mie opere parlino per me. Un artista deve rimanere piccolo di fronte alle proprie composizioni.

A chi parlano le sue opere?

La mia clientela è svariata: viticoltori, cantine, ristoratori, privati. Ma quello che faccio davvero è ridar vita a ciò che gli altri non vedono, parlando sempre della natura, perché la stiamo sottovalutando troppo. Anche la più bella costruzione dell’opera umana una volta abbandonata viene mangiata dalla natura, alla fine vince sempre lei.

Com’è nato il Valentino Moro maestro del ferro?

Con un atto apparentemente folle: sono andato al Vinitaly. Mi davano del matto, andavo alla fiera del vino col ferro. Ma sapevo che serviva un gesto di rottura. Infatti, passò un americano, che capì cosa stessi proponendo e condusse le mie opere anche fuori del territorio.

Qual è la sua definizione di eleganza?

Riuscire a creare un’opera che leghi con l’ambiente senza disturbarlo. Non è l’oggetto in sé a essere elegante, è il contesto. Eleganza è togliere, è semplicità, leggerezza che deriva dalle forme e dalle proporzioni.

Può l’eleganza essere funzionale?

Certo. Un tavolo deve essere innanzitutto pratico, sicuro, comodo. Anche se, come il tavolo consiliare del Comune di Follina, si sviluppa su 13 metri a U, come due braccia che ti accolgono. Pesa 25 quintali, perciò dare leggerezza visuale è fondamentale. Per la Tenuta Pallavicini a Roma ho costruito un tavolo di 18 quintali tutto a sbalzo, eppure appoggia su un solo punto e regala una sensazione di lievità ed equilibrio.

Detto così sembra facile, invece lavorare il ferro è un’operazione tremendamente dura, perché impone forza e contemporaneamente precisione: quanto conta la pazienza, la capacità di non lasciarsi prendere dalla frenesia di vedere subito il risultato?

Ci vuole una grande forza di volontà, che si ottiene solo dopo aver fatto tanta esperienza. È vero, a volte si vorrebbe vedere l’opera già finita, ma in fondo nella mia testa lo è da quando l’ho ideata e quello forse è il vero segreto.

Quanto ci si affeziona a un’opera?

Spesso prima di consegnarla al cliente, la tengo qui per ammirarla ancora un po’. Ho un rapporto diretto con lei. Quando mi sono dovuto separare dalla cancellata di Malta ho sofferto come un animale. Così come per la scultura per il Vajont.

Come si convive con la fatica?

La fatica non esiste. Mi sveglio alle 3, progetto fino alle 5 e lavoro fino alle 21. Mi alzo stanco solo se non ho stimoli, ma quando ho grossi progetti, la fatica non la sento. E mi diverto, perché esaudisco i miei sogni. L’arte è la massima espressione di libertà. La libertà può far paura perché quando ce l’hai non puoi più lamentarti con nessuno.

Quanto è affascinato dal Valdobbiadene?

Territori meravigliosi che mani sapienti hanno mantenuto tali. Io continuo a guardare queste colline con l’occhio del turista. Non dobbiamo abituarci a tanta bellezza.

Si conceda una pausa e si regali un brindisi: per chi o per cosa alza il calice?

IIo brindo sempre ai prossimi 50 anni. Ne ho 60 e mi sembra di essere un ragazzino, perché so sognare. L’artista pensa al futuro, perché le sue opere sopravvivono e non sono mai pensate per il presente. E brindo a chi non smette di sognare.

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